Karate-do kurofune: la nave nera del karate-do

Karate-do Kurofune

In Karate by Marco FortiLeave a Comment

NONA E ULTIMA PARTE
Titoli e gradi
Il Butokukai, oltre a supervisionare l’intera comunità marziale, concepì e rilasciò i primi titoli per i budoka moderni che eccellevano nelle loro discipline. I primi titoli per gli shihan (maestri) furono: hanshi, “esperto modello” (o “insegnante esemplare”) e kyoshi (originariamente conosciuto come tasshi), “insegnante esperto”. Più tardi, nel 1934, venne introdotto un terzo titolo, renshi, “ben allenato o esperto qualificato”.
Alcuni tra i nomi più noti ad aver ricevuto i prestigiosi titoli dal Butokukai furono: Mabuni Kenwa (Shitoryu), Miyagi Chojun (Gojuryu), Funakoshi Gichin e Funakoshi Gigo (Shotokan), Konishi Yasuhiro (Shindo Jinenryu), Otsuka Hironori (Wadoryu), Yamaguchi Gogen (Gojukai), Nagamine Shoshin (Matsubayashiryu), Shinzato Jinan (Gojuryu), Higa Seiko (Gojuryu), Yagi Meitoku (Gojuryu), Ueshima Sannosuke (Kushinryu), Kinjo Hiroshi (Shurite), Richard Kim (Shorinjiryu) e Sakagami Ryusho (Itosukai) per nominarne alcuni. Ancora oggi il Butokukai rilascia tali titoli.
Il sistema di graduazione era, ed è tuttora, basato sulla valutazione dei progressi dell’individuo allo scopo di raggiungere la perfezione attraverso la pratica delle tradizioni del combattimento. La valutazione non si basa solo sulla prestanza fisica, ma piuttosto considera l’intero sviluppo dell’essere umano, considerando gli aspetti fisici, morali e spirituali: lo scopo del budo è quello di coltivare il mondo interiore per migliorare il mondo esterno. Le promozioni venivano, e vengono tuttora, conferite in relazione a questi aspetti.
Il defunto fondatore del judo, Kano Jigoro, fu il primo ad introdurre l’uso di fasce (usanza cinese) e cinture, ora diffuse in molte tradizioni del combattimento. Fu Kano, brillante innovatore, che per primo comprese la necessità di distinguere il praticante avanzato dai principianti, così sviluppò il sistema dan/kyu.
I dan indicavano un livello avanzato di abilità e chi li otteneva veniva definito yudansha (ricevente dan) mentre i gradi kyu identificavano i praticanti con livelli di competenza inferiori ai dan, conosciuti come mudansha (coloro che non hanno ancora ricevuto dan).
Per Kano sensei era particolarmente importante che gli allievi comprendessero che il loro allenamento non doveva essere considerato completo solo perché ottenevano un grado dan ma che, al contrario, fossero consapevoli che questo evento rappresentava il vero inizio del viaggio. Raggiungere un grado dan significa aver completato l’acquisizione dei requisiti necessari per continuare quel viaggio senza sosta e senza distanza che porta alla maestria del sé.
Dopo aver fondato il Kodokan dojo, Kano sensei distribuì fasce di colore nero a tutti gli yudansha perché le indossassero sopra i dogi (uniformi per la pratica) standard di quell’epoca. Intorno al 1907 la fascia nera venne sostituita dal kuro-obi (cintura nera) che divenne lo standard.
Nel dicembre del 1941 il Butokukai istituì un comitato per riferire sui progressi dei diversi gruppi di budo e, l’anno seguente venne riorganizzato sotto il controllo di cinque Ministeri nazionali: Benessere, Educazione, Guerra, Navale e degli Affari Nazionali.
Nel 1945, poco dopo la resa incondizionata del Giappone alle Forze Alleate guidate da Douglas MacArthur, vennero proibite tutte le attività gestite dalle organizzazioni considerate fomentatrici del militarismo giapponese. Questo portò alla chiusura del Busen e allo scioglimento del Dai Nippon Butokukai e di tutte le sezioni affiliate.
Nel gennaio del 1946, il Ministero dell’Educazione giapponese venne incaricato della gestione del budo (vie marziali), inteso unicamente come metodo di educazione fisica, nel sistema scolastico.
Più tardi, nello stesso anno, i funzionari dell’ex-Butokukai riuscirono ad ottenerne la riapertura, ma poco dopo gli ufficiali alleati lo chiusero nuovamente.
Nei sette anni successivi, con il Butokukai dormiente, diversi altri gruppi utilizzarono il Butokuden. Dal 1945 al 1950 le Forze Alleate utilizzarono il Butokuden come loro quartier generale. In seguito, i Ministeri degli Affari Legali e delle Finanze e più tardi il Dipartimento di Polizia di Kyoto lo utilizzarono quale sede ufficiale per gli allenamenti. L’Associazione Municipale Koto utilizzò la sede fino al momento in cui essa venne dichiarata tesoro nazionale, nel 1970.
Il Dai Nippon Butokukai venne rifondato privatamente e riorganizzato nel 1953, sotto la direzione di un nucleo formato da precedenti membri. Con Higashifushimi (un membro della famiglia dell’Imperatore Showa) come patron, Ono Kumao, illustre spadaccino della scuola Hokkiryu, venne posto al timone del Butokukai.
Situato relativamente vicino alla sua sede originaria, il Dai Nippon Butokukai honbu, ricevette il permesso di utilizzare il famoso Tempio Shoren in Higashi Yama-ku, Awahta Guchi, a Kyoto, dove continua tuttora a supervisionare e gestire una crescente adesione internazionale.

Etica ed etichetta marziale
Nonostante non sia mai stato istituito un set unico di ideali come accadde per kendo e judo, riporto quanto segue a beneficio di allievi ed insegnanti di Karate-do incerti sui suoi scopi. Quello che segue, rifacendosi a quei precetti morali cinesi originariamente utilizzati per governare e guidare il comportamento di quelli che comprendevano il segreto delle tradizioni di combattimento civile, è basato sulla traduzione inglese de “I fondamenti del wushu cinese” di Wu Bin.
Quale forma di ideologia sociale, la moralità è stata diversamente considerata in periodi storici differenti. È il culmine del codice di condotta di una determinata società per la regolamentazione delle relazione tra gli uomini e tra l’uomo e la società. In termini generali valuta il comportamento dell’uomo e regola le relazioni di ogni persona con i concetti di bene e male, giustizia ed ingiustizia, correttezza e parzialità, onestà e disonestà.
Il Karate-do è basato sull’eredità del sistema di autodifesa plebea di Okinawa. Per la maggior parte il Ryukyu karate-jutsu, fino al momento in cui ha iniziato ad essere modernizzato, rappresentava le tradizioni del gongfu cinese disordinatamente introdotte e coltivate ad Okinawa per diverse generazioni.
Il karate-jutsu, introdotto nella madrepatria giapponese nella prima parte del ventesimo secolo, venne rivoluzionato da quello che era giapponese e continuò ad essere diffuso attraverso l’insegnamento di massa e i modelli competitivi nel sistema scolastico giapponese. Con lo sfruttamento commerciale che diede origine ad una miriade di interpretazioni eclettiche è difficile se non impossibile arrivare a definire cosa sia originale e cosa successivo.
Nel cercare di raggiungere una comprensione più profonda del Karate-do e di quel che veniva considerato originale, devi sapere che il gongfu rappresenta un sistema di abilità e teorie che i Cinesi svilupparono nel corso di molti secoli attraverso lotte per la sopravvivenza, ricerca di metodi per contrastare le malattie e per rinforzare la salute fisica e mentale.

Rispetto per la vita umana
Nell’antica Cina, gli esseri umani venivano considerati il tesoro di maggior valore offerto dalla natura. L’uomo veniva considerato uno dei “quattro grandi” con il cielo, la terra e la verità (o legge dell’azione naturale). Chi rispetta la vita umana la ama maggiormente e chi conosce la vita umana comprende meglio il gongfu. Esso nacque proprio con lo scopo di proteggere e salvaguardare la vita umana.

Principi morali
I principi morali forniscono la base per il mantenimento di una relazione stabile tra gli uomini e tra l’uomo e la società. Chi desidera studiare le tradizioni del combattimento deve rispettare questi principi e non fare nulla che possa disonorare le tradizioni culturali cinesi. Mentre si studiano le tradizioni del combattimento, si devono anche coltivare le qualità umane quali senso di giustizia, diligenza, perseveranza, onestà e duro lavoro.

Rispetto e cura
Nello studio delle tradizioni combattive si deve fare di tutto per raggiungere la maestria in tutto ciò che viene insegnato. Sia l’insegnante che l’allievo devono prendersi cura l’uno dell’altro e far tesoro della loro amicizia.

Modestia ed entusiasmo
Chi studia le tradizioni del combattimento deve continuare a migliorare le proprie abilità ed evitare di essere arrogante, non deve mai sfoggiare la propria prestanza fisica o umiliare gli altri. Deve essere sufficientemente modesto da imparare e cooperare con gli altri.

Libertà dall’animosità
Nello studio delle tradizioni combattive lo scopo è l’autodifesa ed il miglioramento della propria condizione fisica. Non si deve mai combattere contro qualcuno a causa di un proprio rancore né prevaricare i deboli o gli innocenti. Non si deve mai abusare delle abilità nel combattimento, né utilizzarle per provocare deliberatamente. È invece incoraggiata l’azione per ristabilire la verità e la giustizia.

Costanza e perseveranza
La pratica delle tradizioni combattive è un compito difficile, richiede tempo e ardui sforzi. Sono necessarie fermezza e perseveranza. Si dovrebbe studiare e cercare di fare di tutto per comprendere gli elementi essenziali ed il significato intrinseco di ogni kata. La vera essenza delle tradizioni del combattimento civile può essere appresa solo attraverso l’equilibrio tra pensiero e azione.
Oltre a queste regole, le “cinque note” della scuola Wudang affermano che le tradizioni di lotta non dovrebbero mai essere insegnate a persone con cattive qualità, ai malvagi, a chi abusa di alcolici e agli esibizionisti. Le tradizioni combattive promuovono la moralità e le abilità nell’autodifesa, ostacolano le malattie e migliorano la salute fisica e mentale.

La maestria nel Karate-do

CW: Patrick, a molti occidentali è stato insegnato a credere che sia virtualmente impossibile comprendere realmente il karate-do e raggiungerne la maestria senza essere Giapponese, o deshi diretto di un maestro okinawense/giapponese. Secondo te, cosa determina l’essere un vero maestro di karate-do?
PM: Bene, per prima cosa lasciami rassicurare chi sta leggendo questa intervista, la maestria nel karate non è da ricercare in qualcosa di così superficiale come la prestanza fisica, la razza, lo stile, l’ortodossia e nemmeno il lignaggio dei propri insegnanti. E questo mi è stato detto anche da Giapponesi ed Okinawensi. Non credo nemmeno per un istante che chi afferma quanto da te riportato nella domanda ci creda realmente. È più protezionismo che altro, un tentativo di mantenere la superiorità su una tradizione culturale che si teme venga un giorno dominata da stranieri, dato che il karate-do sta diventando così popolare fuori dal Giappone.
Per raggiungere la maestria nel karate-do, si deve iniziare per prima cosa lo studio di quel che è esattamente il karate-do e in ciò scoprire la natura della cultura giapponese. Dato che le due cose sono simbioticamente inseparabili, comprendere cosa significhi karate-do porta, di conseguenza, a capire cosa sia giapponese. In tal modo si scopre che i principi sui quali si fonda il karate sono profondamente integrati nelle culture cinese e giapponese.
Il karate-do è un microcosmo dell’antica cultura in cui si è evoluto e della società moderna che oggi serve. Ricordo ancora il kotowaza sulla maestria del se: “Sebbene ci siano molti sentieri che portano sulla cima della montagna, c’è una sola luna che può essere vista da coloro che raggiungono la vetta”.
Il budo in Giappone, rispetto a come viene praticato all’estero, enfatizza benefici non utilitaristici: un mezzo per diventare un essere umano migliore studiando come conquistare l’ego ed onorare l’umiltà. Nei paesi stranieri, sebbene pubblicizzate in altro modo, le ragioni reali per cui la maggior parte delle persone pratica il budo giapponese sono utilitaristiche. La differenza è nella cultura.
Credo che la maestria possa essere scoperta accettando sinceramente e aderendo genuinamente alle virtù, ai valori ed ai principi sui quali si basa il karate-do. Questo è il motivo per cui gli stranieri riportano sempre sensazioni positive dagli allenamenti in Giappone; la cultura è non conflittuale, al contrario di quanto accade in occidente. La maggior parte dei Giapponesi comprende e vive secondo il principio del wa. Ricordatevi di questo la prossima volta che il ragazzo nella corsia opposta vi taglia la strada per girare a sinistra senza il vostro permesso.
In ogni caso questo messaggio ha avuto un impatto significativo sui pionieri di questa antica arte. Ed è stato attraverso la pratica del budo e il mio vivere qui per tanti anni, in questa cultura provocatoriamente introspettiva che la mia comprensione non solo del karate-do ma della vita in generale è cambiata in meglio, ed è per questo che il mio impegno continua.
Come gli appassionati del karate che ci hanno preceduti, anche noi abbiamo bisogno di stabilire una simbiosi con il karate-do in modo che le nostre vite siano un prodotto dell’arte, tanto quanto l’arte diventa il prodotto delle nostre vite. Nel fare questo e nel comprendere questi antichi precetti, gli appassionati praticanti arriveranno a comprendere la differenza tra karate e karate-do: l’attività ricreativa, competitiva ed eccitante da un lato e la Via del Karate dall’altro.
È importante riconoscere la differenza tra le due. Il solo luogo dove la maestria viene compresa e goduta è nel privato dei propri pensieri.

CW: Patrick, so che hai collezionato un certo numero di testimonianze provocatorie riguardo a questo dogma. Vorresti condividerne alcune con noi?
PM: Ne sarei felice. Ho iniziato a raccogliere le testimonianze che seguono per la mia presentazione “Oltre l’allenamento fisico” in Australia. Le ho trovate affascinanti e spero che anche altri le ritengano tali.

Nel 1927, Motobu Choki, autorità di primo piano del Toudijutsu, senza dubbio una delle figure maggiormente controverse della nostra tradizione e allo stesso tempo il combattente forse più celebrato, scrisse che per comprendere l’essenza del karate si deve cercare oltre il risultato immediato dell’allenamento fisico e non mettere troppa enfasi sulla competizione o sul superamento di primati ma piuttosto ricercare la saggezza attraverso l’autoconoscenza e l’umiltà.

Funakoshi Gichin affermò inequivocabilmente che lo scopo ultimo del karate-do non risiede né nella vittoria, né nella sconfitta ma piuttosto nel perfezionamento del carattere morale. Funakoshi descrisse spesso il karate-do come un veicolo intangibile attraverso il quale una scoperta interiore provoca una più profonda comprensione della vita e del mondo reale in cui si dimora.

Mabuni Kenwa, sostenitore devoto dei valori originariamente stabiliti per governare il comportamento nel karate-do, arrivò alla conclusione che la comprensione del significato più profondo del karate-do risiede per prima cosa nel trascendere le distrazioni dell’ego e nel trovare la pace interiore. Spiegato con un poema astratto, Mabuni sensei scrisse che quando lo spirito del karate-do (bu) viene profondamente abbracciato, diventa il veicolo (descritto come una barca) grazie al quale si attraversa il grande vuoto del “mondo interiore” (descritto come l’isola “bu”).

Tuttavia Chibana Choshin sosteneva che trascendere le distrazioni dell’ego fosse impresa molto difficile, specialmente per una generazione così intrisa dall’astio e dominata dal materialismo. Chibana sensei descriveva spesso la solennità dell’umiltà genuina e come lo shugyo (austerità) ne promuovesse lo sviluppo.

Konishi Yasuhiro scrisse “Lo scopo del Karate-do è quello di formare il carattere, migliorare il comportamento umano e coltivare la modestia; ma il praticarlo non garantisce – comunque – che questi scopi vengano raggiunti”.

“Bushi” Matsumura chikudoun pechin Sokon fu responsabile dell’introduzione dei principi di insegnamento del jigenryu kenjutsu nella disciplina del gongfu cinese di cui era esperto. Considerato come la principale autorità nelle tradizioni di autodifesa che si svilupparono nel distretto del castello di Shuri egli scrisse: “A tutti coloro il cui progresso viene ostacolato dal proprio ego, possa l’umiltà, pietra angolare spirituale su cui poggia l’Arte del Karate, servire da monito per anteporre sempre le virtù ai vizi, i valori alla vanità ed i principi alle personalità”.

Matsumora chikudoun pechin Kosaku, autorità di primo piano sulle tradizioni combattive che si svilupparono nel distretto di Tomari, sosteneva che la maestria nel karate-jutsu non fosse raggiungibile se non dopo aver illuminato il proprio mondo interiore.

“Toudi” Sakugawa chikudoun pechin Kanga, insegnante di Bushi Matsumura e principale protagonista nella prima fase di sviluppo della tradizione di combattimento di Okinawa, sosteneva che “non serve lasciare il dojo per scoprire quel che si sta cercando”.

Secondo Hanashiro Chomo non c’è mai fine all’apprendimento. Definendo l’arte di autodifesa che non utilizza altro se non le mani vuote per soggiogare un avversario, la sua innovazione abbracciò l’antica dottrina buddista per descrivere l’emancipazione spirituale ed il mondo interiore, così come lo stesso suffisso do comune alle altre tradizioni combattive giapponesi moderne.

Akamine Eisuke, presidente del Ryukyu Kobudo Hozon Shinko Kai, sosteneva che c’è un limite entro il quale si può crescere nel karate sportivo ma che non ci sono limiti alla crescita personale per chi pratica karate-do.

Nagamine Shoshin scrisse, in riferimento al declino spirituale nelle tradizioni combattive: “è davvero negativo assistere al fatto che la maggior parte degli studenti del bu rifiutino di vederlo, sentirlo e conoscerlo”. Menzionava spesso “Bushi” Matsumura e Itosu sensei che considerava veri e propri modelli. Egli credeva ardentemente che questi uomini non avessero mai dimenticato di essere un esempio di quello che il bu e il karate rappresentano realmente. Infatti trascrissero le loro convinzioni rispettivamente nei “Sette precetti del bu” di Matsumura e nelle “Dieci lezioni” di Itosu che fornirono la reale infrastruttura sulla quale si è sviluppata la tradizione moderna del karate-do.

Shimabukuro Eizo (nato nel 1925), maestro della scuola Shobayashi dello Shorinryu, sosteneva sempre che chi ha raggiunto la maestria nel karate non è mai rude e mette al primo posto, nelle priorità personali, pace ed armonia.

Conclusioni

CW: Patrick, questa intervista è diventata molto più lunga di quanto mi aspettavo anche se mi sento come se avessi appena toccato gli aspetti che stanno alla base del karate-do. Avvicinandoci al termine di questa intervista-maratona, c’è qualcos’altro che vorresti aggiungere?
PM: Sì c’è, sebbene mi renda conto di averti portato via molto tempo. Per prima cosa, se posso, vorrei ringraziarti profondamente per avermi concesso il privilegio di condividere le mie opinioni. Infine vorrei concludere questa intervista con qualcosa che ritengo importante sia per gli insegnanti che per gli allievi.

Per raggiungere il nostro massimo, indipendentemente dal fatto che si tratti di combattimento, sport, lavoro oppure della vita in generale, servono un’incredibile determinazione e forza interiore. Per trascendere le barriere dell’ordinario sono necessari sacrifici personali enormi. Un prerequisito che ogni veterano del combattimento, campione atletico, professionista di successo e … ogni madre può confermare.

Seguendo i precetti del karate-do ci si trova di fronte alle proprie debolezze e si è posti in grado di trasformarle in punti di forza, in questo modo la tradizione raggiunge il suo scopo. La forza indomita ci isola dalle forze negative, dalle tentazioni immorali e dalle azioni irresponsabili mentre ci dona la resilienza per affrontare i fallimenti personali che ci mettono alla prova nel corso della vita.

Una mente temperata dalla tradizione del karate-do resterà impermeabile alle delusioni mondane ed illuminerà le tenebre dell’egoismo e dell’ignoranza. Come per il guerriero samurai che si prepara per rimanere imperterrito di fronte alla paura, la pazienza e l’umiltà costituiscono il 90% del combattimento, della vittoria e della vita stessa. Attraverso un maggior controllo sulla nostra mente, sul mondo interiore, possiamo acquisire un maggior controllo sul nostro corpo, sulla nostra vita e sul mondo esterno. È mettendo questa potenza e questa conoscenza nelle attività di tutti i giorni che le nostre vite vengono arricchite in un modo che non ritenevamo possibile.

Coltivando la nostra natura spirituale, la fede, il coraggio e l’entusiasmo si potranno raccogliere i frutti della realizzazione. La nostra natura spirituale può essere coltivata solo dal “fare”; possiamo ottenere in misura pari a quanto doniamo, raccogliamo solo quello che abbiamo seminato. Infatti la legge della crescita interiore dipende interamente dalla reciprocità delle azioni: riceviamo solo quello che diamo.

Il karate-do è un veicolo attraverso il quale un equilibrio di condizionamento austero, assimilazione filosofica e introspezione prolungata crea un corpo forte e sano, tiene lontano le malattie, distrugge le barriere create dall’ego, cura la miseria umana e porta l’attenzione all’interno, dove un viaggio senza distanza ci insegna che la libertà spirituale e la felicità genuina possono essere realizzate, non dall’avere di più, ma dall’imparare ad apprezzare il meno.

La pratica fisica dei kata, quando catturata dall’essenza dell’introspezione, porta l’attenzione così profondamente all’interno che i pensieri si focalizzano fino a che la mente attrae le condizioni necessarie per la loro realizzazione. La concentrazione deve diventare così intensa da portare l’esecutore in grado di identificarsi con l’oggetto stesso della riflessione, tanto da non essere distratto da nessun’altra cosa. Infine, i pensieri vengono trasmutati in carattere (siamo quello che pensiamo) e il carattere è il magnete che crea l’ambiente individuale. Attraverso lo sviluppo del corpo e il potere di percezione, saggezza, intuizione e sagacia, la nostra concentrazione si intensifica. Per iniziare il viaggio abbiamo bisogno solo di riconoscere l’onnipotenza della nostra natura spirituale ed il desiderio di ricevere i suoi benefici effetti. Tuttavia, l’austerità, la privazione personale, la modestia, elementi essenziali della padronanza di sé, devono provenire dall’attrazione, non dalla promozione.

Per pianificare coraggiosamente ed eseguire senza paura il nostro piano nella vita, dobbiamo comprendere la legge di causa ed effetto. La causazione dipende interamente dalla polarità: deve essere creato un circuito, l’universo è la parte positiva della batteria della vita, l’individuo è la negativa e i pensieri creano il circuito.

La conoscenza di questo potere fornisce il coraggio di osare e la fede per raggiungere. Il successo dipende interamente dalla consapevolezza che non è possibile cambiare l’infinito ma solo cooperare con esso. Un cambiamento del modo di pensare porta al cambiamento delle condizioni. Un’attitudine mentale armonica (scopo ultimo del karate-do) promuove condizioni armoniche nella vita. Al contrario i pensieri egoistici portano il germe della contaminazione.

La capacità di ricavare da ogni esperienza quel che è necessario per la crescita determina il grado di armonia raggiunto. Gli ostacoli sono necessari per acquisire saggezza e per favorire la crescita personale. È importante focalizzarsi sui successi piuttosto che sui fallimenti, essere interessati alla corsa più che al traguardo, al perseguire più che al possedere.

La nostra capacità di pensare rappresenta la capacità di agire e consente a quello che pensiamo di manifestarsi per il beneficio nostro e degli altri. Quel che facciamo dipende da quel che siamo e quel che siamo dipende da quel che pensiamo. Il successo e il fallimento dipendono in varia misura dal proprio stile di vita. Lo stile di vita è dominato dall’atteggiamento. L’atteggiamento dipende interamente dai pensieri, possiamo riassumere dicendo “non siamo nulla più della somma totale dei pensieri e delle decisioni quotidiane”.

Il modo in cui parliamo e ci comportiamo è, in essenza, l’esteriorizzazione di quello che pensiamo. Di conseguenza pensare è cruciale all’essere. Questo è vero perché si deve “essere” prime di poter “fare” e si può “fare” solo nei limiti in cui si “è” e come si “è” dipende da come si “pensa”. Non si può esprimere un potere che non si possiede. Si deve scoprire il potere interiore e imparare ad utilizzarlo per rafforzare e migliorare il mondo esterno. Lo scopo ultimo del karate è promuovere questa forza, tuttavia, non può garantirla. Ciascuno di noi è responsabile della propria crescita interiore.

Sperimentiamo tanto ma quanto poco impariamo davvero? Comprendiamo molte cose ma non realizziamo praticamente nulla. Possiamo conoscere molti fatti ed avere molte opinioni ma conoscere molto poco di noi stessi. Fingere non cambia nulla. Come si può fuggire senza rendersi conto di essere prigionieri? Bisogna forgiare e lucidare lo spirito umano fino a che diventa forte e vibrante come la spada di un samurai.

Il segreto del cambiamento non consiste nel combattere il vecchio, quanto nel focalizzarsi sulla costruzione del nuovo. Dopo anni di viaggi e ricerche della verità ho capito che non è necessario lasciare il dojo per trovare quel che si cerca perché quando l’insegnante diviene allievo, il maestro diventa principiante e la fine si trasforma in un inizio, allora il cerchio è completo.

Nel descrivere la disposizione della classe guerriera giapponese, Togugawa Ieyasu scrisse: “il pavone si riconosce dal suo piumaggio, la tigre dalle sue strisce, il samurai dal suo comportamento”. Quasi quattro secoli più tardi l’avventuriero britannico C. W. Nicol, descrivendo i suoi primi allenamenti in Giappone, fornì alcune testimonianze illuminanti quando scrisse (nel sul libro “Zen in movimento”): “sembra ironico che attraverso la forza debba imparare la delicatezza!”

Il passare del tempo, il cambio delle stagioni, l’erosione della terra e la morte dei cari. Tutto nel cerchio della vita è stagionale, muta, muore e rinasce. Un microcosmo del dao, il karate-do è un sentiero che porta alla cima della montagna, insegna a comprendere i cambiamenti, ad accettarli e a vivere in armonia con essi. Le sue tecniche sono un mezzo per giungere ad un fine più grande, una parte del cerchio della vita.

Il nostro invecchiare, il modo in cui pensiamo, i nostri impulsi e la nostra sessualità, le domande sull’universo, la nostra necessità di conoscerci ed il desiderio di trovare una ragione all’esistenza, anche accettando la nostra morte, richiedono meticolosi esami ed azioni. Poiché queste domande esisteranno sempre ci sarà sempre bisogno di una tradizione che fornisca le risposte. Il karate-do è una di queste tradizioni: una tradizione che può essere mantenuta in vita insegnando ai praticanti a guardarsi dentro, allo scopo di scoprire la verità.

CW: Patrick, ora capisco perché il maestro Kinjo Hiroshi ti ha dato quel soprannome che ti si addice così tanto. Non ci sono dubbi che tu sia il kurofune del karate-do. Buona fortuna per le tue attività e grazie mille per questa intervista.
PM: Grazie a te, ti sono davvero grato per avermi concesso l’opportunità di apparire sulla tua meravigliosa rivista.

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