Karate-do kurofune: la nave nera del karate-do

Karate-do Kurofune

In Karate by Marco FortiLeave a Comment

SESTA PARTE
Shichen

Recentemente ci sono state molte discussioni in merito alla presunta validità di tecniche piuttosto oscure conosciute con il termine di tocco ritardato della morte. Vorrei concludere questa analisi affrontando il principio che sta alla base di questa abilità inusuale. Questa analisi riporta semplicemente il risultato delle mie scoperte a seguito di approfondite ricerche e non ha nulla a che vedere con le mie preferenze personali.
Il termine shichen si riferisce ad una unità di tempo utilizzata nell’antica Cina. Ci sono dodici shichen in un giorno e vengono definiti con nomi di diversi animali: topo, bue, tigre, coniglio, drago, serpente, cavallo, capra, scimmia, gallo, cane e maiale. Ogni shichen ha una durata di due ore. Come descritto in precedenza, il flusso sanguigno è più intenso in determinate zone a seconda dello shichen in cui ci si trova. Secondo questa teoria, gli attacchi venivano portati su specifici punti vitali proibiti durante lo shichen corrispondente al fine di rendere più probabile il rischio di provocare danni maggiori. Questo metodo basato sui punti vitali collegati agli shichen venne sviluppato e trasmesso inizialmente dal taoista della dinastia Ming, Wy Liuyuan. Esistono due teorie relative agli shichen: la yin usata a fini curativi e la yang per scopi marziali.
L’idea di utilizzare a fini marziali punti vitali specifici nei 12 intervalli di due ore ciascuno si presentò a seguito di ricerche effettuate sulla polarità nella “teoria del flusso dei meridiani” dell’agopuntura. Dalla dinastia Song (960-1279), Xu Wenbo (un eminente agopunturista nonché dottore ufficiale della famiglia imperiale) sviluppò questa teoria fino a trasformarla in una vera e propria scienza. Giungendo alla conclusione che il respiro (sistema respiratorio) ed il sangue (sistema circolatorio) si comportavano all’interno del corpo in maniera simile a come la terra ruota nel cielo, egli scoprì come la localizzazione dei punti vitali cambiava con il passare del tempo. I dodici meridiani bilaterali ed i due centrali del corpo umano corrispondono ai dodici intervalli di due ore ciascuno in cui è diviso il giorno. Le sue analisi illustravano il comportamento dei sistemi respiratorio e circolatorio in corrispondenza ad un dato meridiano o punto vitale e descrivevano quali punti vitali si aprivano o chiudevano a determinati orari. Si ritiene che gli antichi eremiti taoisti siano stati i primi ad utilizzare la teoria della polarità e la conoscenza dell’apertura e chiusura dei punti vitali quando svilupparono i loro metodi per intercettare e traumatizzare i meridiani. Secondo tale visione, togliere ossigeno e sangue ad un determinato meridiano o punto vitale durante il corrispondente shichen gli impedisce di ricevere il previsto nutrimento e ciò comporta degenerazione del tessuto e della qualità del sangue, riduzione dell’energia qi (ki in giapponese).
Se e quando l’energia è intercettata o bloccata (tramite pressioni, strette, frizioni, vibrazioni o traumi) si possono verificare arresto neurologico o morte. Il tempo necessario perché subentri la morte a seguito di questo tipo di lesioni dipende interamente dall’intensità con cui il punto è stato colpito e quali cure mediche, ammesso che ve ne siano state, sono state somministrate. Ad esempio devono passare parecchi giorni perché la testa si riempia di sangue e la persona muoia in caso di rottura di arterie temporali, etmoidali o frontali. Questo caso si verificava spesso nell’antica Cina, quando le attenzioni mediche erano scarse e gli scontri fisici erano frequenti. In buona sostanza la teoria che sottostava al cosiddetto tocco ritardato della morte derivava dalla conoscenza del danno causato alle arterie da traumi fisici. Bersagli colpiti nel momento di massimo flusso circolatorio venivano danneggiati più facilmente e provocavano un blocco dei vasi da coaguli interni (trombosi) che portavano spesso alla morte per attacco cardiaco causato da trombosi coronarica. Questi segreti sono rivelati nel diagramma dell’uomo di bronzo riportato nel Bubishi.

La statua dell’uomo di bronzo
La statua dell’uomo di bronzo venne forgiata in Cina circa mille anni fa allo scopo di stabilire uno standard nazionale per la scienza dell’agopuntura. Sebbene fosse originariamente utilizzato per illustrare i dodici meridiani bilaterali e i due canali centrali usati nell’agopuntura, il diagramma dell’uomo di bronzo riportato sul Bubishi venne disegnato per uno scopo completamente differente.
Il vecchio diagramma, che illustrava i principi dei punti vitali di Feng Feng Yiyuan, era focalizzato sulla localizzazione delle aree maggiormente vulnerabili a ferite dovute a trauma inflitti durante i dodici shichen.

CW: Patrick, cambiando ancora argomento se posso, so che per circa vent’anni hai avuto una carriera agonistica di grande successo quando vivevi in Canada. Possiamo parlarne?
PM: Che dire, è vero, ho vinto alcune competizioni, mi sono divertito durante i viaggi, ho stretto importanti amicizie, ma alla fine ho lasciato quell’ambiente perché non mi piace il gioco politico sporco né l’egocentrismo esasperato. Ad ogni modo, bello o brutto che sia, e c’era molto di entrambi gli aspetti, il karate agonistico mi ha insegnato molto sulla natura umana.
La competizione è un elemento essenziale nella crescita di ogni essere umano. Noi tutti siamo continuamente in competizione in un modo o nell’altro. La competizione è innata. Anche chi volesse solo diventare una persona migliore dovrebbe comunque competere con se stesso per raggiungere il suo scopo.
L’elemento competitivo del karate lo rende una disciplina ricreativa sfidante e impegnativa. Tuttavia come qualunque altra attività atletica oggetto di marketing commerciale subisce l’influenza delle forze politiche sportive e dalla loro avidità. Lo sfruttamento commerciale ha favorito la creazione di un’intera rete di corruzione che purtroppo esiste in ogni ambito agonistico.

Guardando la cosa dal lato positivo, sicuramente il karate non avrebbe mai raggiunto l’attuale popolarità senza l’elemento competitivo. Nonostante gli aspetti politici ed eccessivamente commerciali, il karate sportivo ha molto da offrire a determinate persone. È anche il veicolo attraverso il quale molti appassionati hanno avuto l’opportunità di scoprire per la prima volta che c’è qualcosa di più del semplice vincere o perdere.
Il karate sportivo ha rivoluzionato il modo in cui si vive la disciplina e la ha portata ad alti livelli. Ha inoltre forzato chi ne sta a capo a riconsiderare alcune sue pratiche obsolete e dannose e a trasformarle in un tipo di pratica più sicuro. Inoltre proprio il format sportivo ha fornito l’incentivo per analisi scientifiche che hanno portato ad una miglior comprensione del karate-do ed hanno promosso la creazione di curricula di insegnamento più sofisticati. In breve, combinando la saggezza degli antichi maestri con le meraviglie della scienza moderna, il karate sportivo ha dato origine ad uno straordinario metodo ricreativo basato sui principi di un sistema di autodifesa popolare.
Nel karate sportivo, indipendentemente da quale sia il motto filosofico diffuso durante l’allenamento, lo scopo è vincere. Al contrario, più che cercare la vittoria o la grandezza, il karate-do (la Via del karate) prepara il praticante a trovare la pace e la felicità interiore. In particolare quando sono coinvolti gli adolescenti ritengo che quanta più enfasi sia posta sul concetto di miglior performance, tanto peggiore sia l’effetto del fallimento nella mente dei giovanissimi. Nella mente di un bambino nel karate agonistico c’è un solo vincitore, tutti gli altri sono perdenti. Questo fa ben poco per migliorare l’autostima, uno degli aspetti più importanti nella crescita. Nelle mani del sensei è posta una responsabilità enorme, quella di assicurare che ciascun giovane praticante abbia a disposizione quei mattoni necessari alla costruzione della propria autostima. Se c’è una lezione costruttiva da apprendere nel modello di allenamento antagonistico del karate sportivo, oltre al combattere con se stessi, è quella di scoprire i propri limiti e ciò che si è in grado di fare quando si viene attaccati. Nell’allenamento antagonistico, i propri limiti vengono identificati come un problema da risolvere. Quindi si inizia immediatamente il processo di risoluzione dei problemi. Con l’attenzione posta su se stessi quando ci si concentra su come migliorarsi, si comprende che l’allenamento non è solo fisico ma anche mentale. Quindi l’allenamento antagonistico gioca un ruolo vitale nello sforzo di andare oltre i propri limiti.
Attraverso questo tipo di allenamento nel karate sportivo si giunge infine a capire che l’avversario non è il nemico, ma piuttosto un importante ausilio all’apprendimento, mentre il vero nemico è dentro. La saggezza di questa lezione può in seguito essere applicata ad altre parti della propria vita. Sia nello sport che a scuola, al lavoro o in qualsiasi altro luogo, la lezione appresa dall’allenamento antagonistico ha un valore immenso. Chi può comprendere che il problema è sempre dentro e non fuori capisce che il viaggio va compiuto verso l’interno, non verso l’esterno. Visto in questa luce, il karate sportivo è fortemente connesso con il karate ortodosso ed ha, credo, un grande valore. [nota dell’editore: oltre ad essere stato due volte campione nordamericano e cinque volte campione canadese in competizioni open, Patrick McCarthy è sempre stato elencato tra i dieci migliori agonisti del Canada (dalla rivista KARATE ILLUSTRATED) in kata, kumite e kobudo negli anni settanta e ottanta. In seguito è passato al combattimento a contatto e in Giappone è stato sparring partner dei combattenti dell’UWF, un gruppo di veri e propri guerrieri conosciuti internazionalmente come shoot wrestlers.]

CW: Patrick, puoi definire il principio giapponese del “vincere senza combattere”?
PM: I giapponesi lo chiamano “tatakawa zushite katsu”, che può essere tradotto anche come “vittoria senza disputa”. Credo che questo precetto fosse già noto ai cinesi prima che ai giapponesi. Sun Zi (il famoso autore del testo “L’arte della guerra” vissuto nel secondo secolo avanti Cristo) afferma infatti che vincere senza combattere è la massima conquista di un guerriero.
Muso Soseki (1275-1351), il grande prelato della setta Rinzai del Buddismo era anche noto per un precetto simile che si dice avesse composto su un battello dopo che la sua guardia del corpo aveva tentato di uccidere un rematore che lo aveva inavvertitamente colpito con un remo. Noto come sente nashi significa letteralmente non prendere l’iniziativa. La dottrina di Muso ebbe un profondo impatto sia sui samurai dei tempi antichi che sui moderni karateka. La trasmissione dei suoi insegnamenti arrivò al tempio Rinzai Ankokuji di Okinawa, eretto a Shuri Samukawa nel 1450. Nel 1614 un altro tempio Rinzai, il Tengeji, venne eretto ad Itoman, seguito nel 1618 dal primo tempio Zen Rinzai, lo Jigenji a Shuri, ciò favorì la diffusione degli insegnamenti di Muso.
Fatto proprio da Bushi Matsumura Chikudoun Pechin Sokon (1809-1901), il termine venne poi reso popolare da Funakoshi Gichin (1868-1957), uno dei pionieri del karate moderno, che scrisse “karate ni sente nashi“, il “karate non prende iniziativa”.
Storicamente, l’esempio più interessante che mi viene in mente quando penso alla vittoria senza dispute è relativo ad un aneddoto su Miyamoto Musashi. Mentre viaggiava sulla Tokaido, (la via che connetteva Edo, la moderna Tokyo, a Kyoto, l’antica capitale) in un pomeriggio afoso di agosto, Musashi, affamato e stanco, si fermò ad un akachochin (letteralmente “lanterna rossa”, una locanda locale) per riposarsi e rinfrescarsi.
Ben conosciuto nella locanda, al guerriero venne servito cordialmente l’usuale somen (tagliolini freddi) e takuan (sottaceti essicati), nonostante il suo odore ripugnante (si dice che Musashi si lavasse molto di rado in quanto questo avrebbe comportato separarsi dalla sua spada per un tempo troppo lungo). Non era vestito in modo consono ad un guerriero della sua posizione e reputazione, portava il suo amigasa (cappello di paglia usato dai lavoratori cinesi) calato sul volto per tenere lontane le mosche mentre sorbiva rumorosamente (come si usa fare in Giappone quando si mangiano i tagliolini in brodo) il suo pranzo.
Proprio in quel momento tre boriosi ronin (samurai senza padrone) entrarono barcollando nel locale e chiesero una caraffa di hiyazake (sake freddo). Tuttavia, prima che la bevanda rinfrescante arrivasse sulla loro tavola, uno dei ronin urlo: “Oi … mama-san cos’è questa puzza terribile? Avete un topo morto sotto il tatami [materassini di paglia]?” Le risate sarcastiche vennero poi sciacquate da una tazza di sake freddo. Dopo essersi asciugato le labbra dal sake e il sudore dal viso, il ronin si rivolse a Musashi e grugnì: “sei tu! Tu sei il topo puzzolente. Vattene, forza, fuori di qui prima che ti dia una lezione che non dimenticherai presto!” Ignorando il tono dell’ubriaco, Musashi continuò a mangiare limitandosi ad alzare appena lo sguardo.
Adirati dalla reazione non cooperativa di Musashi, gli altri due ronin saltarono in piedi e ruggirono parole di sfida mentre il terzo iniziò a guardare con apprensione la particolare tsuba (impugnatura) delle sue due spade (solo i samurai avevano il diritto di portare due spade).
Non appena uno dei ronin pose la mano sulla spada per estrarla, senza nemmeno guardare, Musashi colpì con il suo o-hashi (bastoncino per mangiare) una mosca fastidiosa lanciandola nell’occhio del guerriero indignato. Il silenzio riverberò nell’aria umida fino a che il terzo ronin, così colpito da quel che aveva visto, cadde sulle sue ginocchia e pregò Musashi di ignorare i suoi stupidi amici. “Che grande maestro devi essere” pensò. Proprio allora la mama-san uscì dalla cucina chiamando il nome di Musashi: “il suo o-mochikaeri (ordine di cibo da asporto) è pronto” – disse – “serve altro?” I tre rumorosi schermitori rimasero senza fiato quando realizzarono che avevano quasi sfidato il formidabile Miyamoto Musashi.

CW: Ti ho interrotto prima, mentre stavi parlando degli altri progetti che l’IRKRS sta ponendo in essere. Hai voglia di parlarne adesso?
PM: Certo, se non sei ancora stanco di ascoltarmi. Stiamo creando il nostro kakemono (rotolo del dojo). Ho avuto questa idea guardano un annuncio pubblicitario sulla rivista FAI (Fighting Arts International N.d.T.) in cui si promuovevano i rotoli di Funakoshi e Nakayama. Ho pensato che se gli appassionati possono essere interessati a quel che i maestri Funakoshi e Nakayama hanno scritto, sicuramente lo saranno ancor più a quel che li hanno ispirati. Poi sto per rendere pubblica la mia traduzione dei “Dieci precetti” di Itosu Anko, scritti nel 1908 e dei “Sette precetti del Bu” scritti da Bushi Matsumura Chikudoun Pechin Sokon nel 1882. Ogni kakemono includerà la traduzione inglese, un ritratto di ogni maestro – tratto dalla collezione di Nagamine Shoshin per sua gentile concessione – e il testo in caratteri cinesi magistralmente tracciati su un fogli di riso di formato A2. Sicuramente un arricchimento per ogni dojo, indipendentemente dall’appartenenza stilistica o politico-federale.
Ho poi un’intera pila di materiale non tradotto di altri pionieri che ho intenzione di tradurre e rendere pubblico in futuro. Negli anni, attraverso l’IRKRS, sono stato in grado di stringere amicizia con altri studiosi e ricercatori storici come Graham Noble (Inghilterra), John Sells (USA), Mitchell Ninomiya (Giappone), per citarne alcuni, con cui ho avuto l’opportunità di scambiare informazioni.
Ho anche intenzione di creare una serie di video su kata di karate e kobudo in aprile, quando arriverà la stagione della fioritura dei ciliegi. Sono amante dei dettagli e credo che lo sfondo aggiunga molto al valore della presentazione.
Sto usando come ambientazioni l’Enkakuji (il tempio a Kitamakura in cui si trova il monumento “karate ni sente nashi” dedicato al maestro Funakoshi) perché si trova vicino a casa mia, ha un’atmosfera piena di pace, è semplice e allo stesso elegante e anche il tempio shintoista Heian a Kyoto dove vado ogni anno in aprile per il festival del budo organizzato dal Butokukai . Vorrei registrare i kata cui tutti sembrano essere interessati oggi: Aragaki Seisan, Aragaki, Sochin, Aragaki Niseishi, Aragaki Unshu, Nipaipo, Hakutsuru, Happoren (o Paipuren cone lo chiamava Mabuni), Wanduan (Wando,) Ryushan (Ryushu,) Rakkaken,) Fyukyugata, Taisabakigata, Yara Guangui (Kushankun), Naifuanchin, Matsumura Passai e Nepai (Nipaipo).
Il kata Happoren è di particolare interesse per i praticanti e gli insegnanti di Gojuryu dato che da questo kata Miyagi Chojun creò Tensho e dai praticanti e insegnanti di Shitoryu dato che Mabuni Sensei lo apprese da Go Kenki. Inoltre Happoren è descritto nel Bubishi e per questo il suo lignaggio può essere verificato da una tradizione tramandata da approssimativamente 300 anni.
Il kata Nepai, altra forma della Gru Bianca descritta nel Bubishi e caratterizzata da tecniche di lotta e attacchi ai nervi, venne insegnata da Go Kenki solo a Kiyoda Juhatsu e Mabuni Kenwa ed è interessante in particolare per chi pratica e insegna Gojuryu e Shitoryu.
Gli altri kata ricordati sono stati trasmessi da Aragaki Seisho che fu il primo insegnante di Higashionna Kanryo, Go Kenki e To Daiki. Con l’eccezione di Happoren, Miyagi Chojun non imparò questi kata ed essi

CW: Patrick, se posso ti faccio una domanda veloce, come sei riuscito ad imparare questi kata così rari ed unici?
PM: I Kata sono la mia passione, lo sono sempre stati. Sebbene ora non sia più così bravo ad eseguirli, chi mi ricorda ai tempi in cui gareggiavo, negli anni sessanta, settanta e ottanta, può testimoniare la mia propensione per questo settore di studio. Negli anni passati qui in oriente, ho cercato i maestri, sia ad Okinawa che a Fuzhou che conoscevano queste tradizioni ed ho dimostrato molto impegno ed interesse nello studiarle. Per anni ho accumulato un’enorme collezione di note, vecchi libri e fotografie rare da questi insegnanti e maestri con cui sono entrato in contatto grazie alle mie ricerche. Un giorno scriverò un libro sui miei incontri con questi uomini e su come la loro conoscenza abbia fortemente influenzato il modo in cui pratico Karate-do. Ho intenzione di condividere queste informazioni con i karateka interessati a conoscere quel che ho imparato.

CW: Posso chiederti chi furono questi maestri?
PM: Certo, alcuni tra i più noti con cui ho avuto l’opportunità di parlare sono stati: Konishi Yasuhiro, Otsuka Hironori, Nakayama Masatoshi, Yamaguchi Gogen, Inoue Motokatsu, Uechi Kanei, Sakagami Ryusho, Matayoshi Shinho, Nishihira Kosei, i famigliari di Miyagi Chojun, Yabiku Masakazu, i famigliari di Yabu Kentsu, Higa Yuchoku, Higa Seikichi, Yagi Meitoku, Nagamine Shoshin e suo figlio Takayoshi, Nakazato Joen, Shimabukuro Eizo, Akamine Eisuke, Kinjo Hiroshi, Hokama Tetsuhiro, Miyahira Katsuya e Miyazato Eiichi. La lista completa è assai più lunga.

CW: La serie di video sui kata suona molto interessante, e i video sul kobudo?
PM: Sì, comincerò la serie sui video del kobudo dopo aver terminato la traduzione inglese del libro del 1964 (ora fuori stampa) “Ryukyu Kobudo Taikan” di Taira Shinken. Mi focalizzerò sull’interpretazione nell’uso delle armi dello Yamaneryu per la potenza dei suoi movimenti circolari e per l’elegante semplicità.
Il Maestro Akamine Eisuke, allievo più anziano di Taira Sensei e presidente del Ryukyu Kobudo Hozon Shinko Kai, sta attualmente lavorando all’introduzione per la mia traduzione. Circolano molte informazioni errate sui maestri del kobudo che devono essere corrette e ritengo non ci sia persona al mondo più qualificata del Maestro Akamine. Conosco tutti i principali gruppi che lavorano con le armi tradizionali in Giappone (i gruppi di Inoue, Matayoshi, Uehara, Kishaba e Akamine) e credo che il libro di Taira arricchito dall’introduzione di Akamine, da una grande collezione di fotografie del maestro Taira che posseggo e che non sono state mai pubblicate fino ad ora e da una biografia su Yabiku Moden, servirà a sedare ogni controversia attualmente esistente, oltre a costituire una lettura formidabile.

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