di Patrick McCarthy
traduzione di Marco Forti
Da quel che ricordo ci sono sempre state diatribe su quale stile marziale fosse meglio degli altri. Grazie alla mia stretta connessione con Kinjo Hiroshi, maestro okinawense di koryu karate (karate antico N.d.T.), ho potuto mettere da parte la questione dopo aver avuto l’opportunità di assistere ad una dimostrazione davvero illuminante.
Un giorno fui invitato dal sensei ad assistere ad una funzione religiosa privata al Tempio Enkaku nella pittoresca Kita Kamakura. Era un pomeriggio afoso di metà agosto e ricordo bene la sensazione di disagio che provavo come sempre a causa dell’umidità estiva in Giappone.
Molti artisti marziali giunti da ogni dove erano venuti ad incontrare il sensei dato che stava per essere ricoverato in ospedale per un’operazione finalizzata all’asportazione di un polmone. Al sensei piaceva molto l’Enkaku-ji e spesso mi ci portava.
A volte sorseggiavamo un tè osservando i praticanti di kyudo che scagliavano le loro frecce, oppure visitavamo il monumento dedicato a Funakoshi (ove è riportata la scritta karate ni sente nashi). Durante la stagione della fioritura dei ciliegi il sensei mi ha insegnato come godere della tranquillità dell’Enkakuji.
Qualunque fosse la stagione o la ragione per cui ci trovavamo lì, parlavamo sempre di budo.
In quella specifica occasione io me ne stavo ad ascoltare i discorsi dei maestri più anziani delle diverse tradizioni marziali, sia moderne che antiche. Fu per primo un maestro di jujutsu del Dai Nippon Butokukai a portare il discorso sullo “stile migliore”.
Dopo diversi minuti di discussione chiesero al sensei se fosse in grado di risolvere la questione. Devo ammettere che ad oggi non ho ancora visto un modo migliore di risolvere la diatriba e spesso uso lo stesso metodo quando chiedono a me la stessa cosa.
Il sensei raggruppò gli uomini e chiese un volontario. Gli bendò gli occhi e prese un secondo uomo a caso dal gruppo perché praticasse al volontario bendato una chiave articolare. Poi chiese al volontario bendato di contrarre gli addominali per ricevere un calcio leggero e un pugno dal secondo uomo. Alla fine della dimostrazione il secondo uomo tornò nel gruppo e subito dopo il sensei tolse la benda al volontario e gli chiese di dire agli altri di quale stile fossero la leva articolare, il calcio e il pugno. Naturalmente egli non fu in grado di rispondere. Il sensei quindi affermò: «un pugno è un pugno, un calcio è un calcio e il gomito si piega solo in una direzione».
Più tardi, lo stesso pomeriggio, il sensei dipinse uno shikishi (cartolina firmata a ricordo) e me la donò. Portava la scritta “Ci sono molti sentieri che portano in cima alla montagna ma solo una luna da vedere per coloro che vi giungono” (cioè esiste una sola verità e molti percorsi per raggiungerla). Non ho mai dimenticato la lezione di Kinjo sensei, infatti ho dedicato molto tempo e sforzi ad approfondire la comprensione dei principi comuni su cui si basa l’arte di autodifesa a mani vuote.
Virtù, valori e principi non cambiano, al contrario di quel che accade alle persone responsabili della loro trasmissione.
Da quando mi sono affidato ad essi non sono mai stato deluso ed ho trovato molta più felicità e senso nella pratica di quanto mi fosse mai successo prima. Detto questo forse ora comprenderete come e perché abbia scelto, quale motto dell’IRKRS la frase: “Anteponi la virtù ai vizi, i valori alla vanità e i principi alle personalità”.